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NETTUNO
OTTO/'900

Persone, storie e tradizioni
a Nettuno nel 1800-1900

di AUGUSTO RONDONI

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43 - La "febbre spagnola"


Fu l'epidemia influenzale durata circa tre anni che si abbatté verso la fine dell'estate del 1918, e seminò una gran quantità di vittime, in maggioranza femmine. Si propagò celermente per moltissime parti del mondo. Erroneamente si ritenne allora che il morbo provenisse dalla Spagna, invece era originaria dalla Cina, e si estese per via terrestre e per via marittima.
A Nettuno, per la vastità del suo territorio, la pubblica assistenza ebbe un bel da fare nel prelevare gli ammalati e condurli al lazzaretto, dove venivano depositati e cosparsi di calce bianca.
Tra le moltissime vittime si ricordano: Vitelia Ludovisi, sposata con Giacinto De Luca; la madre, una Palladini, morì accorata poco dopo; Nina Pennafìna, Rosina Topazio entrambe abitanti in Via Romana; Giuseppina Combi, Maria Vicini (ottenne); Camilla Colacchi sposata Sodi e tantissime altre.
Allora la Via Santa Maria, che conduceva al nuovo cimitero, era in terra battuta; aveva solo alcuni piccoli tratti selciati. Era tortuosa ed angusta, tra alberi, ed il suo percorso era molto più lungo dell'attuale.
L'addetto comunale al trasporto delle salme era Luca Garofolo. Siccome si trovava al fronte, venne sostituito all'occorrenza, dal fratello Francesco o da altri dipendenti comunali (più che altro spazzini). Nell' ultimo scorcio del 1918 quando la mortalità del morbo toccò il più alto indice, negli ultimi di ottobre Giuseppe Belleudi con il figlio Umberto (dodicenne), si recarono con barattoli, pomice e pennelli, come di consueto, a campire le lapidi al Camposanto, ma giunti a metà strada, sul tratto maggiormente sconnesso, si trovarono una bara a terra dì traverso. Era una delle quattro salme caricate dal lazzaretto sul carrettone di 1a classe che il hecchino improvvisato aveva perso senza accorgersene.
In quello stesso periodo circolò anche la ''malattia del sonno ''(Tripanosomiasi-encefalite letargica) che colpi soprattutto alcuni bambini ed adolescenti.
Non era ancora finita la guerra del '18, quando il maestro Arcangelo Rondoni fu chiamato al Comando della retrovia per beneficiare di una breve licenza per motivi familiari. Fra soldato del Genio Zappatori, e per la specifica competenza fotografica, faceva il rilevatore topografo al fronte tra Gradisca e Caporetto.
In verità, nella sua famiglia due delle tre bambine erano cadute ammalate da alcuni giorni. Anna, di dieci anni, la più grande stava bene. Lele aveva una febbre intestinale che guari in meno di una settimana. Lina, la più piccola, di tre anni, era caduta in un sonno profondo rimanendo immobile nel suo lettino, senza bere e mangiare. Rino di sei mesi godeva ottima salute insieme alla madre. Lina, praticamente era come morta. Il dottor Sangiovanni al suo capezzale diagnosticò "malattia del sonno". Nelle visite successive, persistendo la malattia, propose alla madre preoccupata, l'applicazione dolorosa della "mosca di Milano" onde tentare di scuoterla. Uscito il medico, però, Giulia, la madre, fece di tutto secondo il suo modo di vedere per risvegliare la bambina. Nel giorno successivo il dottore (convinto che non c'era più nulla da fare poiché erano passati ormai troppi giorni) applicò l'impiastro addirittura sul petto della bambina, per accontentare la madre. Solitamente l'impiastro si applicava alle braccia o alle coscie, perché lasciava vistose cicatrici. Dopo ventiquattrore il medico, costatando l'inefficacia, davanti la madre, copri il volto della bambina con il lenzuolo, dandola per spacciata e disse: "Domani mando a prenderla dalla pubblica assistenza!"
Al solo pensiero di vedersi portare via la bambina, Giulia Visca reagì energicamente. Poi, rasserenatasi, pregò il dottore di interessarsi per ottenere dal Comando militare almeno una breve licenza per il padre, perché si rendesse conto personalmente di quello che stava succedendo.
Il dottore annuì ed eccezionalmente procrastinò il trasporto della salma al Cimitero.
Si era già nell'ottavo giorno della malattia, quando il maestro Rondoni giunse dal fronte. Nel mettersi in libertà spidocchiandosi dalla divisa, tolse gli spiccioli dalla tasca ponendoli sopra la pietra del comodino della camera da letto, dove a fianco giaceva inanimata Lina nel suo lettino coperta dal lenzuolo. La sorella Lele, seienne, frattanto guarita, corse subito presso il comodino per giocare con i soldi, facendone cascare alcuni a terra; quando da sotto il lenzuolo si udì:"Papà, Lele tocca i "ndondi"! Grida di giubilo e di "Grazie, Madonna!" riempirono le mura, e fuori il vicinato! L'opposizione tenace della madre a portar via la sua creatura, prevalse e premiò tutta la famiglia!





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