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NETTUNO
OTTO/'900

Persone, storie e tradizioni
a Nettuno nel 1800-1900

di AUGUSTO RONDONI

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72 - "Chi sei?"


E lui... se gli andava, digrigando rumorosamente i denti come una belva ferita, rispondeva seccato con voce roca e cavernosa: "Sono il conte Alfredo Poiani! ".
Il titolo di conte, secondo lui, l'aveva ereditato dalla sua madrina di Guerra che era Contessa e lo anteponeva sempre quando declinava le sue generalità.
Quando fu congedato per alcolismo dal servizio nella Guardia di Finanza, dov'era sott'ufficiale, riabbracciò il mestiere dello stuccatore, dov'era, fra l'altro, molto bravo, ma ber via delle sue continue alzate di gomito all'osteria, fu presto allontanato definitivamente dai datori di lavoro. Memore d'essere figlioccio della Contessa gli si rivolse e tramite il suo interessamento trovò a Roma, presso il Conte un lavoro come palafreniere, stando in piedi ritto dietro la carrozza. Un giorno, nell'attesa del ritorno dell'aristocratico che s'era recato a far visita a Lungotevere, si sbronzò e fu riconosciuto da un compagno d'arme, il quale trovandolo oltremodo ridicolo nella divisa da cocchiere con tuba, gli affibbiò una manata sulla testa, incalcandogli la tuba, fino alle orecchie. Gli disse: "A Poià, come te sei conciato?" Preso alla sprovvista non seppe ricomporsi subito ed ebbe la sventura che il Conte sopraggiungesse in quel momento per cui fu licenziato in tronco, ritrovandosi di nuovo senza lavoro.
Da qui nacque in lui un abbandono totale al menefreghismo e a una reazione passiva per il mondo che l'aveva più volte rifiutato e s'immerse sempre più nell'abbiezione e nell'alcool. Cominciò allora ad essere ubriaco ventiquattr'ore su 24; diventò filosofo da marciapiede e poeta maledetto. Faceva di tutto.pur di sopravvivere, ma sempre sull'orlo del "delirium tremens" per via dell'alcool.
Una sera, briaco come una cocuzza, fu trovato attaccato alle sbarre del cimitero dove, nello sproloquiare alla sua maniera, con una cicca spenta tra le labbra, chiedeva ed aspettava che gliela accendessero. Lo chiedeva tranquillamente ai morti. Aspettava che gli porgessero almeno un lumino delle loro lapidi per accendere. Scena macabra, assurda, piena di drammaticità, quanto poetica. In rari momenti di lucidità, diceva cose sensate e sagge.
Ebbro fino al massimo, improvvisava discorsi suggestivi, retorici. Di notte lo si incontrava dappertutto, sdraiato a terra, nei cantoni, dentro i portoni, nei sottoscale, che pronunciava frasi sconnesse. Presso il ponte della ferrovia, una volta, lungo la Via S. Maria, semi-adagiato a terra, con un occhio chiuso e l'altro vagante, in preda all'alcool, si lamentava sommessamente per avere un dolore "qui", a Singapore, massaggiandosi il collo del piede.
Altre volte, quando i ragazzi tentavano di chiamarlo o sfotterlo, reagiva con violenza rincorrendoli per metter loro paura e a tu per tu digrignava loro i denti sul viso.
Quando invece stava, sempre ebbro, ma in stato di beatitudine, sdravaccato in terra e petava, tra sé e sé, ma tanto da farsi sentire, diceva con pronuncia impastata alla lingua: - "Ah! Voce angelica, anche in punto di morte mi perseguiti."
Pur essendo dedito all'alcool mostrava intelligenza.Quando andava a fregare le palanche sotto al Lido Belvedere, urlava come un lupo mannaro; la gente che stava nelle adiacenze s'intimidiva degli arli e rapidamente s'allontanava per non fare brutti incontri. Allora si vedeva Poiani con la palanca al collo che passava indisturbato, portandola direttamente al muratore che gliela aveva prenotata.

 

Un'altra volta per sbarcare il lunario andò da Gabriele De Lucia per farsi regalare un pesce grosso che, nella cernita giornaliera, Gabriele avrebbe buttato. Gli diede una grossa spigola puzzolente. Lui, armato di una canna da pesca ed un cesto, con dentro la spigola, s'avviò presso la Marciaronda e s'istallò sopra uno scoglio con la canna in mano c la spigola a mollo. e ristette. Con la coda dell'occhio, guardava il transito, e quando vide un forestiero nel vestito che poteva fare al gioco suo, mentre passava alle sue spalle, tirò su la spigola agitando la canna per dare parvenza che fosse ancora viva, Il pellegrino s'accostò, e avendo assistito alla pesca chiese a Poiani di vendergliela. (Miel'ammollò, grondante di acqua in un giornale e si fece dare 600 lire. Il signore ripartì contento per Roma per poterla mangiare in famiglia.
Il giorno dopo si seppe che furono tutti ricoverati all'ospedale per avvelenamento, Alla denuncia e conseguente chiamata davanti ai carabinieri, si giustificò dicendo che il signore aveva insistito a lungo, perché gliela vendesse.
Fece una tristissima fine. Morì dì morte apparente in una fredda nottata d'inverno, presso le grotte di Liberati. Quando si venne a sapere del decesso, essendo indigente, il personale comunale provvide ad incassarlo in una bara fatta di tavolette ed a trasportarlo nella camera mortuaria del cimitero. La mattina successiva, il custode notò una certa torzatura al coperchio delta bara, ma pensò che nella fretta era stata chiodata male, non fino in fondo. Quando nel pomeriggio, si procedette all'autopsia di rito, il medico riscontrò che le nocche delle dita erano tutte sbucciate. il disgraziato, nel caldo della cassa s'era risvegliato ed aveva forsennatamente provato a sollevare il coperchio della cassa dove era stato chiuso e, stretto com'era, non ce la fece. Stremato e mal nutrito, decedette veramente.





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