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I CORSARI DI
TORRE ASTURA

di Antonio Pagliuca

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32 - A casa


Mentre la nave attraccava, un marinaio alla manovra gridò ad alcuni sfaccendati che curiosavano sul molo:

- I due ufficiali turchi che abbiamo a bordo sono di Nettuno!

- Come? - chiesero all'unisono Giovanni Bonifazi e Campi Antonio che, pur avendo udito bene, non potevano credere alle proprie orecchie!

- C'è qui, a Nettuno, qualcuno che porta il cognome Ricci?

- Ricci... Ricci... Madonna di San Rocco! Ma sì che ci sono Ricci a Nettuno - fece Giovanni Bonifazi.

L'altro interlocutore, Antonio Campi, non c'era più. Udito il cognome, era scattato come una molla e correva come un razzo verso il borgo, gridando: '

- Berardo!... Berardo!... Dov'è Berardo?

- Chi Berardo? - chiedeva la gente lungo la strada. E quello, sempre correndo:

- Berardo!... Berardo Ricci.

- E che vuoi da Berardo Ricci?

- E' arrivato il figlio!

- Che dici?... Sei pazzo?... - rispondeva, incredula, la gente.

- Sì, è tornato! E' proprio lui... è il figlio di Berardo.

Alla porta di Berardo non era arrivato soltanto Antonio Campi, ma un'altra ventina di nettunesi che, avendo udito il nome, avevano indovinato chi fosse, ma volevano accertarsene subito correndo appresso ad Antonio.

La comare Maria Catanzani che, delle cento frasi ed esclamazioni di tutte quelle gole era riuscita appena a capire che cercavano Berardo, gridò:

- Che volete dal compare Berardo?... Il compare non c'è; è andato alla vigna, alle Grottacce. Che volete da lui?

- Al porto c'è il figlio!

Comare Maria emise un urlo altissimo, sbattendosi parecchie volte le braccia al petto fino a quando riuscì a dire:

- Correte a chiamarlo! - Franco, - comandò al figlio dodicenne che le era al fianco - prendi il mulo e corri a chiamarlo. Vola!

- Vado, mamma. - e corse via.

Nel 1810 il blocco continentale, ordinato da Napoleone contro l'Inghilterra, era ancora in pieno vigore. Per non aver ottemperato a tale dettato, papa Pio VII era stato inviato in esilio a Fontainebleau ed il Lazio era passato a far parte dell'impero francese.

Era difficile, perciò, che le navi che attraccavano ai porti del Tirreno potessero sfuggire al controllo delle autorità portuali che, come le altre, dipendevano da quelle francesi residenti a Roma.

Per tutto questo, la lancia che aveva condotto al porto i due ufficiali della marina da guerra del sultano, tornò di nuovo al brigantino Sàray, tuttora ancorato a tre miglia dalla costa, avendo a bordo il nostro Sebastiano e l'ufficiale, vice comandante del porto che doveva farne l'ispezione. Leonardo, comandante del brigantino, era stato pregato di restare al porto, non come ostaggio, - Dio ne guardi! - ma per gustare liquori e pasticcini del comandante.

Dato uno sguardo alla lista degli uomini a bordo, che aveva contato con fare apparentemente distratto, l'ufficiale di controllo, sempre accompagnato dal nostro Sebastiano, volle ispezionare la santabarbara e metter il naso in tutti gli altri locali.

Effettuata l'ispezione, i due ufficiali, soddisfatti, tornarono al porto, con la stessa lancia.

Ricevuto il lusinghiero rapporto dal suo ufficiale subalterno, il comandante della mezza galera, concesse al nostro brigantino di starsene ancorato dove stava, finché non fosse arrivato l'ispettore del porto del Lazio che concedeva il permesso di attraccare al molo.

Nel frattempo, però, il brigantino poteva provvedere a rifornirsi di acqua, di cibo e di quant'altro occorresse per proseguire il viaggio.

Si raccomandò perché non più di quattro marinai per volta lasciassero la nave per venire a terra.

Rassicurato l'ufficiale sull'ottemperanza alle disposizioni, Sebastiano e Leonardo uscirono dall'ufficio del comandante del porto per recarsi a casa. Trovarono ad attenderli almeno duecento persone ansiose di vederli, di abbracciarli.

Divulgatasi la notizia dell'arrivo dei due italiani, ufficiali della nave turca che si vedeva al largo, erano corsi al porto tutti quelli che avevano potuto lasciare le loro case.

Grida di saluto, lagrime, frasi spezzate, benedizioni, abbracci, strette di mano furono le manifestazioni esteriori di un benvenuto carico di affetto e di intima, vera gioia.

- Io sono tuo zio!... Io sono tua cugina!... Eccomi compare!... Ben tornato, nipote mio!...

Ognuno di quelle duecento persone era parente, cugino, zio, compare, amico...

Tra i primi ci fu Giovanni Petrucci, padre di Leonardo, che si era fatto largo fra la folla non tanto per gli spintoni, quanto perché gridava: " Figlio mio! Leonardo... Amore di papa ".

L'abbraccio fra i due fu un abbraccio di titani; pareva che i due stessero stritolandosi a vicenda!... Chi cedette fu il povero Giovanni che si accasciò in deliquio fra le braccia del figlio!

Questi se lo strinse al petto per non farlo cadere e, con l'aiuto di altri, lo trasportò di peso a casa!

- Vi prego, amici, - disse Leonardo con le lagrime agli occhi - lasciateci soli!

Intanto cercava con gli occhi la mamma.

- Dov'è mamma? - chiese a quelli che lo circondavano. Non ricevendo risposta, chiese ancora:

- Ditemi, dov'è mamma mia?...

A quella supplica risposero le lagrime degli uomini ed i singhiozzi delle donne... Il povero giovane capì e si gettò sfinito, annichilito su di una sedia. Il padre che, riavutosi, lo aveva visto accasciarsi sulla sedia, gli si inginocchiò vicino per prendergli il viso con le mani 'e stringerselo a sé.

- Come sta Assuntina?... Dov'è? -

- Assuntina sta bene, papa... -

- Dove l'hai lasciata?

- Non l'ho lasciata, papa; presto la vedrai.

- Vedrò presto la mia bambina?.., Dov'è?... Dove l'hai lasciata?... Perché non me l'hai portata?...

- Non ho potuto condurtela subito! La vedrai più tardi.

- Figlia mia... Assuntina mia!

- Questa sera, prima di notte, potrai riabbracciare anche Assunta!

Poco vicino, a qualche isolato più avanti, avvenivano scene simili tra Sebastiano, il padre ed i parenti intimi. Il figlio voleva correre incontro al padre che, avvertito dal figlio della comare, tornava galoppando dalle " Grottacce ", ma la ressa che stipava la casa glielo impedì.

Ecco, finalmente, arrivare Berardo scamiciato, sudato, senza berretto, il fiato grosso. Scende dal cavallo che lascia senza affidarlo ad alcuno, corre verso il figlio e se lo stringe soffocandolo di baci... Il povero padre, non credendo ai propri occhi, se lo stringe, lo allontana un po' per rimirarlo, se lo ristringe baciandogli forsennatamente occhi, gote, naso, fronte. Poi lo allontana alquanto per rimirarlo ancora e se lo stringe di nuovo al petto... Il poveretto cerca di dire una parola, ma emette un suono che sta fra l'urlo ed il singhiozzo!

Sebastiano piange sommessamente e, per confortarlo, gli bisbiglia:

- Mamma sta bene e... ti manda mille baci!

- Mamma?!... Come sta Teresa?... Perché non me l'hai riportata?

- Non ho potuto, papa, ma la rivedrai presto!

- Quando?

- Il più presto possibile. Ora non è più schiava! E' libera e potrà tornare non appena potremo avere tutti i documenti necessari.

- Grazie... mille grazie, Madonna mia di San Rocco! - esclamò allora Berardo sollevando gli occhi al ciclo, mentre tiene ancora avvinto il figlio tra le braccia.

Erano le tre del pomeriggio, quando Leonardo e Sebastiano tornarono a bordo. Ad attenderli c'erano Assuntina, visibilmente ansiosa, insieme ad Ali Turi e a Nedim .

- Hai visto papa e mamma? - chiese ansiosa Assuntina al fratello.

- Sì, l'ho visto...

- Che vuoi dire " l'ho visto "! Chi hai visto? ...papa?

- Sì ho visto papa?

- Mamma non era in casa?

- No... non c'era!

- Come... " non c'era "!

- Mamma... è andata lontano... molto lontano... - riuscì a dire il povero Leonardo, mentre un groppo alla gola lo stava soffocando.

- Ma... dove? - replicò la ragazza, afferrando il fratello per le braccia.

- In... paradiso... - rispose singhiozzando - Sii forte, sorella mia!...

- Mamma... mamma!... - gemette la poveretta gettandosi sconvolta fra le braccia del fratello, pure lui affranto. - Mamma mia!

- Piangi, piangi, sorella mia - le ripeteva Leonardo, accarezzandole la testa - piangi pure, sorella mia!

Alle lagrime di Leonardo e di Assunta si erano aggiunte ora quelle del sensibile Ali Turi che, preso un fazzoletto per asciugare le lagrime altrui, se ne servì per asciugare le sue.

Frattanto " lo sfregiato ", muto ed in disparte, incominciava a lisciarsi i baffi come faceva quando era arrabbiato o conmosso, ed a grattarsi la testa. Il forte turco si limitava ad esclamare " Si calmi, signorina Assunta! Si calmi! ".

I cinque restarono qualche istante in silenzio; poi Sebastiano li spinse nel quadrato degli ufficiali.

Studiata la situazione tenendo in conto le restrizioni, Sebastiano espose una sua variante al piano per evitare che qualche altro intralcio potesse mandare a monte i loro propositi.

Detto, fatto. Si decise che sarebbero scesi a terra subito i due ufficiali con Assuntina e con Nedim; che Ali Turi, il solo che oltre a loro parlasse l'italiano, sarebbe restato sulla nave per ogni eventualità, anche perché sottufficiale ed uomo di lunga esperienza.

Caricata la lancia con i regali per i parenti e con i vestiti che avrebbero dovuto vestire per la cerimonia del matrimonio, attesero che Assunta indossasse un vestito da donna e si avviarono per la seconda volta verso il molo per sbarcare.

Era .quasi notte e le persone e le cose si indovinavano dalle ombre che proiettavano al lieve lucore di un mezza luna crescente.

Giovanni attendeva i figli da due ore, pur avendogli detto Leonardo che non sarebbero potuti ritornare prima di notte...

Udito lo sciabordio dell'acqua mossa dai remi, il vecchio si alzò dalla boa di ferro sulla quale si era seduto ed attese il momento per gettarsi tra le braccia della figlia.

Il cuore gli batteva forte forte, cosicché riuscì appena a farsi udire quando, più che chiamare, invocò la figlia.

- Assunta, figlia mia!

- Papa! - gli gridò commossa Assunta mentre, spinta da Leonardo si gettava fra le braccia del padre.

Per alcuni istanti si sentirono solo i singhiozzi disperati del padre e della figlia...

- Su, papa - intervenne Leonardo - a casa, ora!

I quattro si avviarono adagio verso casa Petrucci, ma furono una decina di persone quelle che sì accalcarono nella povera cucina, riscaldata più del normale da un gran fuoco che il compare Rossetti Rocco alimentava con il fascio di sarmenti portati da casa sua.

Qui Assunta dovette ricevere e ricambiare per una buona ora i baci di tutte le comari e delle consanguinee, ascoltare un florilegio di condoglianze per la madre morta, di lodi per la sua splendida giovinezza e di " ben tornata! " di tutti.

Leonardo ricevette ancora condoglianze e lodi in parti quasi uguali da coloro che non aveva visto nel pomeriggio, finché non arrivò Sebastiano che veniva ad avvertire che la cena per tutti era già pronta.

Appena arrivato a casa, Sebastiano aveva depositato il bagaglio e, accompagnato dal padre, si era recato dal Padre Guardiano del Convento dei Francescani.

Poiché don Alessandro Sguzzi era stato esiliato a Roma, lui voleva sapere dal buon frate come avrebbe potuto fare perché fosse proprio don Alessandro a celebrare il suo matrimonio con Assunta.

Padre Vincenzo, così si chiamava il padre guardiano, che conosceva bene Sebastiano e ne ricordava voce, devozione e bravura, si mise subito a sua disposizione, promettendogli prima di tutto che gli avrebbe fatto ottenere dall'attuale parroco di Nettuno la delega per sposarsi a Roma, nella Chiesa dei Santi Apostoli.

Dopo che Sebastiano gli ebbe esposto la propria situazione ed i suoi desideri, Padre Vincenzo si alzò, indossò il pesante mantello e gli disse:

- Andiamo dal Principe, a Villa Bell'Aspetto. Lui ci dirà quel che dobbiamo fare.

Udito dal portiere che il superiore del Convento di San Francesco voleva conferire con lui per una questione urgentissima, il Principe gli andò incontro per introdurlo nel suo studio.

- Buona sera, padre Vincenzo; a che debbo l'onore della sua visita ad un'ora così insolita?

- Eccellenza, questo giovanotto ha bisogno di noi due. L'altro è suo padre, che lei forse avrà già visto più di qualche volta.

- Il suo viso, infatti, non mi è nuovo.

- Che possiamo fare per questo giovane?

Padre Vincenzo in cinque minuti illustrò al principe - che ogni tanto sorrideva compiaciuto ed ammirato al giovane - il piano che Sebastiano aveva architettato per poter sposarsi.

- Ma, sposiamolo subito, Padre!

- Penso che la cosa migliore da farsi sia quella di recarsi a Roma e pregare Don Alessandro, che si trova nel nostro convento, in Piazza Santi Apostoli, di benedire le nozze di questo magnifico giovane e della sua fidanzata.

Dopo aver rivolto alcune domande a Sebastiano, a Padre Vincenzo e anche a Berardo, il Principe decise:

- Partirete fra due ore! Vi attendo qui. Per quell'ora i cavalli saranno pronti a Campoleone, nella mia tenuta sosterete quel tanto che vi serve per riposarvi un po' e per cambiare i cavalli. Vi darò il lasciapassare per le autorità francesi e per quelle italiane nel caso ne aveste bisogno. Vi accompagnerà anche il mio scudiero più fidato. Voi quanti sarete?

- Quattro, eccellenza: la mia fidanzata, il fratello, io ed un nostro marinaio turco.

-Credo che il vostro marinaio turco farebbe meglio a rientrare sulla nave. E' bene non creare complicazioni... Padre, lei procuri subito ai due giovani il certificato di battesimo.

- Andrò ora con loro e procurerò i certificati.

- Non dimenticate che alle otto e trenta le porte del castello verranno chiuse!

- Per quell'ora saremo da lei, eccellenza.

- Bene, affrettatevi! Arrivederci!

Giunti in piazza, Berardo ed il figlio si avviarono a casa loro, mentre Padre Vincenzo si diresse alla sacrestia della chiesa parrocchiale per trascrivere i certificati occorrenti per il matrimonio.

Visto che le zie erano già pronte a servire la cena, Sebastiano corse a casa di Giovanni Petrucci per chiamare il futuro suocero, la futura cognata, la futura sposa e l'amico turco.

Sebastiano e Leonardo avevano indossato abiti nuovi, di foggia europea, ed Assuntina si pavoneggiava nel suo meraviglioso costume nettunese. Quando Sebastiano le comunicò che si sarebbe dovuto partire subito, indossò, sotto la ricca gonna, un comodo paio di calzoni, alla turca.

Tutti i partenti indossavano pesanti mantelli di colore scarlatto scuro, resi più vistosi dai bottoni e dalle borchie color d'oro.

Un copricapo dello stesso colore, di tela cerata e imbottito di lana, li difendeva dal freddo. Non pioveva, ma, in alto, nubi veloci stendevano di tanto in tanto un fugace velo sotto la mezza luna che permetteva di tenere la via senza il pericolo di deviazioni.

Il principe strinse la mano ai quattro partenti augurando loro di far bene e presto . Sarebbe stato felicissimo di averli in casa al loro ritorno per offrir loro un rinfresco.

 



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