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I CORSARI DI
TORRE ASTURA

di Antonio Pagliuca

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7 - La preghiera nella moschea


Le cinque preghiere canoniche comandate da Maometto ai suoi fedeli coprono l'intero arco del giorno.

La prima preghiera, che dura un'ora, ha luogo all'alba ed inizia con la preghiera del mattino.

Verso le quattordici ha luogo la seconda preghiera, mentre la terza si tiene all'incirca due ore dopo, verso le quattro del pomeriggio.

AI tramonto si ha la quarta preghiera del giorno e l'ultima tre ore più tardi, a notte inoltrata.

Tutti gli uomini validi sono tenuti a partecipare alle cinque preghiere canoniche nella moschea, almeno che non ne siano impediti da motivi di forza maggiore; nel qual caso reciteranno la preghiera prescritta nel luogo dove si trovano, ma, come per tutti gli altri, dopo aver ottemperato al precetto dell'abluzione purificatrice, fatta con l'acqua o con la sabbia, in mancanza di quella.

Alle ore sedici di quello stesso giorno, 14 giugno 1795, i signori Abdullah ed Ismael Kania stavano facendo le abluzioni con l'acqua della bella fontana che era al centro del cortile della moschea; con loro c'erano anche Azim, Ali Turi ed il nostro piccolo schiavo italiano, Leonardo Petrucci.

Un muro, alto un metro, cingeva l'enorme quadrato dentro cui erano sistemati il minareto, la moschea vera e propria
e gli edifici di solito annessi e connessi alla moschea stessa. Sul muro correva una solida cancellata di ferro battuto; era anche di ferro battuto il bel cancello che chiudeva il recinto.

A fianco della moschea ergeva la sua snella mole il minareto, alto trenta metri, la cui base era in parte interrata in una collinetta ricoperta di cespugli e di fiori. La solida base ottogonale era alta due metri ed era rivestita di pannelli di marmo celeste. Dalla base si ergeva il fusto, dell'altezza di dodici metri, formato da otto colonne cilindriche di un metro di diametro, disposte vicine, in cerchio, a forma di cactus.

Le colonne terminavano, in alto, con fregi geometrici che ricoprivano anche la balaustra della terrazzina anulare dalla quale il muezzin di Antalya invitava i fedeli alla preghiera.

Il minareto terminava con una torretta cilindrica, sormontata da un blocco di forma conica.

Leonardo si era messo ad osservare l'imponente costruzione quando a scuoterlo venne il richiamo di Ali Turi che lo invitava a ripetere ed imitare i gesti e le azioni che i padroni facevano per l'abluzione delle varie parti del corpo.

Perché la preghiera sia accettata da Allah, il fedele maomettano deve liberare il corpo dalla sporcizia e da ogni impurità; deve, prima di tutto, lavarsi le mani e sciacquarsi la bocca ed i denti strofinandoli con una speciale radice: ecco perché i denti degli arabi, dei turchi e di tutti gli altri musulmani che seguono il Corano, sono sani e bianchi; poi, con l'acqua della fontana, si laverà contemporaneamente il naso e le orecchie; quindi viene la volta delle due braccia, fino ai gomiti: prima del braccio destro, poi di quello sinistro. La abluzione termina con la pulizia dei piedi.

Fedeli maomettani ed infedeli hanno l'obbligo di togliersi le scarpe prima di entrare in una moschea.

E' necessario ripetere per intero la cerimonia dell'abluzione su descritta prima di ognuna delle cinque preghiere quotidiane, perché la purezza rituale - che gli arabi chiamano tahara - così conseguita si perde col sonno o col contatto con cose immonde o, comunque, impure.

In mancanza di acqua, - si pensi ai beduini del deserto - il maomettano deve fare il tayammun, cioè la purificazione, con la sabbia.

Chi volesse leggere il Corano deve ripetere la stessa cerimonia prima di aprirlo.

Oltre che tenere il corpo pulito, le cerimonie rituali annesse alle preghiere canoniche costituiscono un continuo esercizio fisico, soprattutto per i muscoli del corpo. Si calcola, infatti, che durante le cinque preghiere giornaliere, il musulmano compia ben trentacinque inchini profondi e tocchi il suolo con la fronte ben sessantaquattro volte. Altro che linea, con tutti quei movimenti!

Leonardo compì egregiamente la cerimonia dell'abluzione con l'osservare attentamente il capitano che a bella posta eseguiva il più adagio possibile le varie operazioni per permettere al giovanetto di ripeterle senza errori.

- Bravo - esclamò sottovoce il capitano - pare che l'abbia fatto da sempre. Ne faremo un bravo maomettano!

- Così voglia il Profeta! - si affrettò a replicare il buon napoletano, per il quale ogni lode rivolta allo schiavo italiano, era indirettamente, una lode rivolta a lui stesso.

Il muezzin, smesso il richiamo dei fedeli dai quattro punti cardinali della terrazzina anulare del minareto, prima di scendere, avvertì i fedeli che la preghiera stava per aver inizio e che, perciò, tutti si affrettassero ad entrare dopo aver lasciato le calzature nell'atrio.

La moschea, a differenza della chiesa cristiana, non è la casa di Dio ed il luogo dell'offerta sacrificale, ma il luogo di riunione dei fedeli per la preghiera collettiva: donde il nome di mascgid - in italiano, moschea - che letteralmente significava " luogo per prosternarsi ".

Il complesso degli edifici connessi alla moschea di Antalya comprendevano, oltre al minareto ed alla moschea propriamente detta, alcuni altri ambienti e due saloni attrezzati come due aule che servivano per impartire lezioni di Corano e di lingua turca.

Tutti i ragazzi e le ragazze della città erano obbligati a frequentare le lezioni di Corano; le lezioni, cosiddette,scolastiche, erano invece frequentate soprattutto dai figli dei più abbienti.

Nel complesso degli edifici della moschea c'erano anche la stanza del tesoro del tempio e l'ufficio di tesoreria della città.

A tutti questi locali si accedeva da artistici portoncini aperti sul porticato che cingeva il cortile della moschea.

La moschea di Antalya, una delle più antiche della Turchia, era stata ricavata da una chiesa cristiana del VI secolo dopo Cristo, ma vi erano stati apportati vistosi ritocchi per adattarla al credo ed al gusto dei nuovi fedeli; logicamente erano spariti altari, nicchie e statue e tutto ciò che forma la caratteristica d'un tempio cristiano (5).

La cupola era stata rivestita di mosaici ed il pavimento rifatto più volte. Le pareti erano state decorate con marmi policromi, con maiolicati e con arabeschi a stucco. C'era una sola nicchia, di legno intagliato, per l'Inam ,colui che guida la preghiera; non mancava il minbar, il pulpito a gradini, in legno, artisticamente intagliato, trasportabile.

A Leonardo parve di entrare nella chiesa dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista, in Nettuno. Soltanto dopo aver osservato attentamente si accorse che in quell'edificio non esisteva la Croce, il simbolo del cristiano.

Ali Turi che gli si era messo a fianco, dietro i tre uomini della famiglia Kania, gli fece cenno di fare attenzione agli atti ed ai gesti che accompagnano la preghiera.

La moschea era gremita di uomini i cui visi erano tutti rivolti verso la Mecca, la città santa dei maomettani.

La preghiera ebbe inizio con la professione di fede, mentre i fedeli, in piedi, sollevavano le mani tenendole, a palme aperte, vicino alle orecchie.

Poi tutti abbassarono le mani e le incrociarono al petto; . quindi poggiarono il palmo della mano sinistra sul ventre e quello della mano destra sul dorso della mano sinistra. In questa posizione viene recitata la prima sura del Corano, vero atto di fede, che proclama: " Non v'è altro dio che il Dio e Maometto è l'inviato del Dio! ".

Il valore della preghiera è nullo, se l'orante non recita le parole come sono scritte e non compie gli atti ed i gesti prescritti; inoltre la preghiera è valida solo se fatta nelle ore stabilite dal Corano.

La preghiera libera, quella spontanea che sgorga dal cuore, non è obbligatoria, né assolve minimamente il comandamento della preghiera canonica.

(5) Fu il sultano selgiuchida Aladin KeyKubat a trasformare nel XIII secolo, la chiesa cristiana in moschea. Oggi quella moschea e atliDita a Museo etnografico e delle Belle Arti.

Mentre ripeteva, imitandole, le movenze ed i gesti dei fedeli, Leonardo volse gli occhi intorno, per vedere se vi fossero donne, ma non ne vide.

Le donne del mondo islamico erano, infatti, tenute a pregare come gli uomini durante le cinque preghiere canoniche del giorno, ma non erano obbligate a frequentare la moschea; tutt'altro: quasi sempre e dovunque, era loro proibito di andare a pregare nelle moschee. Quasi sempre recitavano le loro preghiere in casa, dopo aver ottemperato al precetto delle abluzioni.

Recitavano le preghiere accompagnandole con i gesti stabiliti, ma non si prosternavano fino a toccare il suolo con la testa: si limitavano ad inginocchiarsi ed a recitare formule, versetti ed antifone tenendo le braccia incrociate al petto. Era loro proibito di entrare nella moschea anche per la più importante delle preghiere canoniche, quella del venerdì dopo pranzo.

L'unisono delle voci e la perfetta sincronia dei gesti e delle movenze, fecero un'ottima impressione sul giovanetto che non potè fare a meno di confrontare la compostezza dei fedeli maomettani e la loro corale partecipazione alla preghiera comune, con gli sconcertanti andirivieni, le goffe genuflessioni e gli inchini anchilosati della maggior parte dei cristiani cattolici che frequentano le sacre funzioni.

E ripensava alle " ave maria " sbiascicate, pronunziate a metà, alle storpiature degli inni e dei cantici latini, agli intermezzi profani delle vecchiette e degli uomini durante la Messa, alle occhiate furtive che durante la messa si scambiavano i fidanzati, agli irritanti piagnistei dei lattanti, alle corse dei bambini su e giù per le navate ed a mille altri motivi profanatori delle funzioni religiose.

Al termine della preghiera Ali Turi e Leonardo seguirono a rispettosa distanza i loro padroni.

Nell'atrio della moschea molti cittadini si avvicinarono per ossequiare i signori Kania che, nel conversare con essi, parlavano certamente anche del giovane schiavo italiano, visto che quasi tutti osservavano il ragazzo accennando ad un vago sorriso.

La condizione degli schiavi non era più quella d'una volta; in Turchia, poi, le loro condizioni potevano essere paragonate a quelle dei membri naturali della famiglia padronale, anche se con alcune gravi restrizioni.
Spesso venivano assegnati agli schiavi compiti e mansioni tipiche degli uomini liberi.

I giovani schiavi, poi, erano destinati al servizio militare, durante il quale avrebbero potuto raggiungere anche i gradi più elevati della gerarchia militare. Quasi sempre erano destinati a far parte del corpo dei giannizzeri, soldati molto temuti in guerra dai nemici, ma molto più temuti in pace dai non nemici!

 



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