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I CORSARI DI
TORRE ASTURA

di Antonio Pagliuca

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14 - Amore di figlio


II sorriso era scomparso in casa Ricci dal giorno del rapimento di Teresa, ma da quello stesso giorno il pensiero dominante di Berardo e di Sebastiano, marito e figlio di quella sventurata, aveva messo in moto le risorse più recondite delle loro anime e delle loro intelligenze, al fine di poter almeno rivedere l'amata donna.

In casa Petrucci, invece, la perdita del senno della madre, causata dal rapimento di Leonardo e di Assunta, avevano stordito e sbiadito le qualità e le risorse del povero Giovanni che non aveva saputo reagire alla sventura come l'amico Berardo.

Tutti e due seguitarono a lavorare la terra, ma Berardo conduceva la propria azienda in modo soddisfacente, mentre Giovanni, che prima del rapimento dei figli non era da meno di Berardo, incominciò a trascurarla, finché il lavorarla non fu una vera e propria remissione.

Allora Giovanni fu assunto come stalliere dal Signore di Nettuno che gli permise in tal modo di lavorare ed accudire alla povera smemorata di sua moglie che se ne stava sempre in casa a'ripetere il ritornello: "I miei figli!... ridatemi i miei figli! ".

Berardo e Sebastiano si recavano spesso dal povero Giovanni cercando di rendersi utili, ma senza rievocare il dramma che li affliggeva.

Per quell'arcano intuito di cui la Natura fa dono all'uomo soprattutto nelle disgrazie, sentivano che Teresa faceva da madre a Leonardo e ad Assuntina e che dovevano vivere insieme.

Sebastiano frequentava la scuola di don Alessandro e faceva dei progressi sbalorditivi. Il povero ragazzo aveva giurato a se stesso, al padre ed anche a don Alessandro che avrebbe ritrovato la mamma a qualsiasi prezzo, anche a costo di farsi far prigioniero dai Turchi.

Quest'idea venutagli dapprima in modo peregrino, diventò proposito, si convertì in desiderio ed esplose in giuramento; giuramento che rese sacro in chiesa ripetendolo in ginocchio davanti all'altare del Signore.

Quel giuramento non aveva nulla di vendicativo, ma era dettato, al contrario, dall'affetto, dall'amore senza limiti per la mamma lontana; ciò che Sebastiano provava per la mamma era un amore che gli invadeva cuore ed anima e che traspariva al di fuori in lucciconi salati ogni volta che si faceva menzione di sua madre.

Don Alessandro, che conosceva bene il ragazzo e che era certissimo che lo stesso avrebbe fatto l'impossibile per realizzare i suoi propositi, gli trasmise tutto il suo scibile, per prepararlo ad affrontare e superare i pericoli cui sarebbe andato incontro.

Oltre al corso scolastico normale che lo metteva in condizione di " leggere, scrivere e far di conto ", Sebastiano imparò a suonare il violino, apprese in maniera scolastica l'inglese e lesse la maggior parte dei libri che possedeva don Alessandro, soprattutto quelli di geografia e di avventure marinaresche. Si era fatta una cultura profonda dell'impero ottomano in generale e della Turchia in particolare dì cui aveva studiato storia, geografia, usi, costumi, abitudini, religione e tutto quanto riguardava i maomettani, ficcandosi bene in mente ciò che era proibito, consentito o comandato dal Profeta.

Da parecchi mesi le scorribande dei turchi nei nostri mari si facevano più frequenti, soprattutto dopo che l'ammiraglio Nelson aveva distrutto la flotta francese e dopo che Malta era stata occupata dall'Inghilterra.

I turchi, alleati degli inglesi, sentendosi più sicuri, occuparono l'isola di1 Ponza e scorrazzavano a piacere davanti ai litorali della Campania e del Lazio.

I frequenti avvistamenti dei velieri del Sultano, avevano eccitato cuore e fantasia di Sebastiano, che contava allora quindici anni, ma preoccupavano don Alessandro che conosceva le intenzioni e la ferma determinazione del ragazzo.
Per dovere di coscienza, don Alessandro ne aveva avvertito il padre il quale inveì contro il figlio che voleva lasciarlo solo in casa per farlo morire di crepacuore... Non bastava aver perduto la moglie: gli toccava perdere anche il figlio!
Sebastiano cercava inutilmente di calmarlo, di spiegargli che se lo avessero preso, sarebbe diventato giannizzero, soldato temuto in guerra, ma più temuto in pace; che, una volta giannizzero, gli sarebbe stato più facile cercare e ritrovare la madre. Non schiavo, perciò, ma soldato: in grado di poter percorrere in largo ed in lungo le terre ed i mari del sultano.

Questo argomento occupò per parecchi giorni i loro pensieri e le loro discussioni, ma le loro posizioni restarono inalterate per lungo tempo, finché la fiducia che aveva nel figlio ed il grande amore che lo legava alla moglie allentarono la difesa ad oltranza delle proprie posizioni e Berardo acconsentì, ma ad una condizione: il figlio avrebbe cercato con ogni mezzo di farsi far prigioniero dai turchi, ma lui, Berardo, non avrebbe mosso un dito per sfuggire ad una sua eventuale cattura da parte degli stessi, se se ne fosse presentata l'occasione, perché - diceva - per lui sarebbe stato infinitamente meglio condividere in schiavitù la sorte della moglie e del figlio, anziché struggersi un po' alla volta per morire di crepacuore a Nettuno.

Dopo l'incredibile patto, padre e figlio pregarono la Madonna, perché il loro futuro si svolgesse secondo la volontà di Dio e, se possibile, secondo i loro desideri.

In fondo, padre e figlio non chiedevano a Dio un miracolo, ma una grazia: grazia abbondantemente giustificata dall'amore.

 



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