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I CORSARI DI
TORRE ASTURA

di Antonio Pagliuca

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25 - La ricomparsa di Ali Turi


Gli altri due giorni di licenza di Sebastiano volarono, anche se più della metà di quelle ore il tenente italiano dei giannizzeri, le aveva trascorse con la mamma. Ogni tanto la Teresa lo afferrava per il viso e gli schioccava baci sulla fronte, sugli occhi e sul naso.

- Figlio mio, ripeteva la povera donna, - lascia che ti baci per tutte le volte che non ho potuto farlo in tutti questi anni!

Sebastiano, in cambio, sorrideva felice ed accarezzava la testa della mamma i cui capelli erano ancora neri nonostante i cinquantaquattro anni. Il nostro giannizzero aveva dovuto raccontare la storia della sua vita e delle sue avventure almeno venti volte: aveva dovuto raccontarle all'ammiraglio, ad Ayla e Selma, ad Assuntina, ad Azim e, almeno una decina di volte, alla mamma, che non la smetteva di far domande e di uscirsene in esclamazioni a volte di lode, a volte di rimprovero, a volte di approvazione, ma, più spesso, dì soddisfazione, tanto più che Sebastiano cercava di nasconderle le circostanze che l'avrebbero ratta soffrire, non trascurando, invece, quelle che la facevano gioire.

Rispetto a quella sua, la cultura di Sebastiano era tale che la donna pendeva dalle sue labbra, così come ne restarono meravigliati tutti gli altri ad incominciare dall'ammiraglio il quale cercava tutte le occasioni per uno scambio di idee e di opinioni su argomenti i più disparati.

L'affabilità di Sebastiano aveva conquistato anche le altre donne ad incominciare dalla signora Ayla per finire ad Azim, Selma ed Assunta, avida di notizie riguardanti Nettuno, i suoi abitanti e soprattutto i suoi parenti.

Per non dare un forte dispiacere ad Assuntina ed a Leonardo, il " giannizzero ", come .ormai tutti chiamavano Sebastiano, non aveva affatto accennato alla pazzia della loro mamma; si era limitato a riferire che, povera donna!, li invocava per nome da mane a sera e che se ne stava in casa, mentre Giovanni, il papa di Leonardo e di Assunta, era stato assunto al servizio del principe di Nettuno.

Le sera del terzo giorno di licenza di Sebastiano, l'ammiraglio aveva voluto'fare una sorpresa a tutti. Aveva dato disposizioni, affinché a cena fossero presenti tutti quelli che lo erano nel giorno dell'arrivo di Sebastiano. Per l'occasione, Leonardo portò con sé un barilotto di vino acquistato da un marinaio francese al quale aveva dato in cambio un bel tappeto.

Mancavano alcuni minuti alle diciannove, quando si raccolsero tutti nella sala da pranzo, bene illuminata e riscaldata.
Tutti notarono che fra Teresa e Leonardo c'era un coperto di più.

Occhiate interrogative andavano dall'uno all'altro, soffermandosi per qualche istante sul volto impenetrabile del padrone di casa che, facendo finta di non accorgersi di nulla, incominciò a disporsi per iniziare la cena.

Alle sette in punto, con la puntualità che distingue i militari, entrò in sala Ali Turi. La piacevole sorpresa sconvolse il rituale della cena in una casa borghese e diede l'avvio ad un incrociarsi di esclamazione di " benvenuto " e di sorrisi, di strette di mano da parte di chi ebbe il piacere di capitargli vicino.

Dopo un saluto militare con i fiocchi all'ammiraglio, che in cambio gli restituì una pacca sulla spalla, Ali Turi, visibilmente commosso, salutò la padrona di casa e Teresa. Il caro napoletano non potè fare a meno di fare una carezza ad Assuntina, anche per nascondere la commozione che lo pervadeva.

Prima di sedersi, salutò Leonardo e strinse la mano a Sebastiano il quale, pur non conoscendolo, avvertì nel calore del saluto che quel rude marinaio era amato in casa Kania come uno di famiglia.

Fu l'ammiraglio stesso a sottolineare con, brevi frasi rivolte a Sebastiano la personalità del nostro Ali Turi, che i lettori hanno incontrato nella prima parte di questo racconto e che, invece, il contrammiraglio teneva sempre vicino, sia che operasse per mare, sia che se ne stesse, per servizio, negli uffici dell'ammiraglio. Ali Turi era tornato quella mattina da una lunga missione a Smirne.

A cena si era presentato con una divisa impeccabile sulla quale luccicavano le fettucce dorate del grado corrispondente al nostro capo di 3a classe della marina militare.

Se non gli fosse occorso di partecipare ad una rissa tremenda a Istambul, nel cui ospedale furono rimesse quasi a nuovo parecchie teste ammaccate dal suo bastone, il nostro Ali Turi non sarebbe stato retrocesso di un grado e alla cena di quella sera avrebbe potuto mostrare sulle spalline non un solo travetto, ma due e, forse tre.

I dieci anni trascorsi da quando, l'ultima volta, lo vedemmo in casa Kania, avevano modificato ben poco le sue fattez-ze: qualche capello grigio, qualche ruga in più, una pancetta che cominciava a mettere il muso fuori ed una cicatrice sull'arco sopraccigliare destro, ricordo tangibile di almeno una fra le tante risse.

Via via che le portate sparivano educatamente, ma inesorabilmente, nelle bocche dei commensali, la conversazione si faceva più animata, meno controllata, resa euforica dal vino che, oltre ai cristiani, bevevano anche i maomettani, ad incominciare dallo stesso ammiraglio e dal figlio Azim; buona parte dell'euforia doveva essere attribuita alla bevanda nazionale turca, al " raki ", una specie di anisetta che il popolo chiama " latte di Icone " e che è la bevanda preferita durante le serate trascorse tra i piaceri della buona cucina e della piacevole compagnia.

Già a metà cena, chi teneva banco era il nostro Ali Turi che, reso euforico dal vino e dall'affetto che nutriva per quella cara famiglia, dimenticò non l'educazione, ma la lingua e la religione ufficiale e mescolava all'idioma turco ed alle esclamazioni più aderenti alla catechesi islamica le più salaci ed auten-tiche espressioni popolari napoletane con le più affettuose ed espressive giaculatorie cristiane.

Aiutato dal vino, sollecitato dalla simpatia di tutti quelli che lo circondavano, spinto dall'innata, salace schiettezza partenopea, Ali Turi disse quel che disse e come lo disse senza offendere nessuno, ma costringendo qualcuno ad arrossire suo malgrado!

Così, senza intenzioni recondite o menò che educate, si complimentò col comandante per la matura bellezza di Ayla che, da quando la conosceva, si era mantenuta la stessa. Augurò a Selma un marito che non sfigurasse di fronte alla bellezza orientale della fanciulla.

Augurò ad Assunta un marito di fede cristiana, perché nessuna nube potesse offuscare il suo futuro, che egli prevedeva felice.

A Sebastiano ed a Leonardo augurò di sposarsi presto per non essere costretti ad una vita raminga come la sua. " I comandanti - e qui fece un cenno allusivo all'ammiraglio - quando hanno qualche gatta da pelare spediscono i senza famiglia, gli scapoli ".

L'ammiraglio, che aveva capito l'antifona, gli ritorse ridendo l'accusa dicendo che lui, Ali Turi, preferiva il servizio in caserma a quello in... cucina!

E qui una bordata di risate da parte di tutti.

Frattanto era entrata Teresa col kahve, il caffè turco, che non permetteva ad altri di preparare, specialmente nelle grandi occasioni... Il kahve è bevuto in piccole tazze. Vien messo in un recipiente di rame e scaldato a fuoco lento, finché il caffè comincia a spumeggiare. C'è chi lo vuole sade, senza zucchero; chi con poco zucchero, az sekerli; chi moderatamente dolce, orla sekerli e chi molto dolce, cok sekerli. Quando lo si ordina, bisogna sempre specificare come lo si vuole.

Verso le nove, dopo il caffè, i commensali si trasferirono in un'altra sala dove si diede inizio alla danza del cucchiaio, ballo caratteristico eseguito da uomini e da donne che accompagnano il ritmo della danza col rumore secco dei cucchiai di legno, azionati con le dita della mano, come per le nacchere.

Soltanto Teresa non ballava, limitandosi a scandire il ritmo della danza battendo le mani, felice per la felicità dei suoi...

Selma e Assunta si distinguevano per bravura al punto che a Sebastiano venne spontaneo chiedere ad Assunta:

- Sorellina, dove hai imparato a ballare così bene?

- Sei da parecchi anni in Turchia e non sai che quando siamo in casa - e lo siamo quasi sempre - noi donne facciamo di tutto per passare il meno malinconicamente possibile il tempo che gli uomini trascorrono nelle vie, nelle piazze, nei caffè e nelle " lokante "?

- Ma, non ricamate merletti e tappeti?

- Sì, facciamo anche quello, ma preferiamo trascorrere il tempo a pettegolare, a profumarci, a truccarci, ad organizzare tiri birboni alle nostre compagne!

- Senti, senti la sorellina!

- Sebastiano, non chiamarmi più " sorellina ". Ti voglio bene come ad un fratello, ma chiamiamoci per nome.

- Va bene, sorell...; scusami; ...va bene? ...Assunta!

- Ecco, così va meglio!

Durante il ballo successivo, Sebastiano non ballò. Si era versato un bicchierino di Raki e si era seduto con le spalle al camino per osservare i danzatori che ballavano...

Il suo sguardo si attardò sulla silhouette di Assunta, alta, agile, snella, virgulto ben curato che prometteva di trasformarsi in una bella pianta. Il suo viso, soffuso di vaga malinconia, era messo maggiormente, in risalto dalla bella chioma color d'oro che faceva contrasto con le varie gamme di nero con cui madre natura aveva tinteggiato gli scalpi degli abitanti maschi e femmine della penisola anatolica.

" Cara, adorata, piccola Assunta! - si disse - quanto debbo a te ed a Leonardo per avermi sostituito nel posto di figlio tanto degnamente., così completamente! ...Non lo dimenticherò mai! ".

Mentre si riprometteva questo, il suo sguardo si incontrò con quello di Assuntina che piroettava sicura fra i danzatori. Si sorrisero, ma già il loro sorriso non aveva più le caratteristiche di un sorriso tra consanguinei: era, piuttosto, un segnale indefinito ed indefinibile, aperto ad ogni possibile, più bella trasformazione.

Altri pensieri provocò quel sorriso in Sebastiano. Cercò di allontanarli per quell'indefinibile senso di fastidio che da la confusione tra sacro e profano da cui ha origine un vago senso di stupore misto a piacere e di ansia mista a speranza...

Per fortuna venne a distrarlo la mamma con un'altra tazzina di caffè.

Alla fine della giornata, al momento di augurarsi la " buona notte ", i due giovani si scambiarono un sorriso simile a quello di prima. Questa volta Sebastiano non salutò Assuntina chiamandola " sorellina ", ma le strinse forte forte la mano dicendole semplicemente:

- Ciao, Assuntina.

- Ciao, Sebastiano - le rispose quella con un tono di voce che sapeva di carezza.

 



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