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I CORSARI DI
TORRE ASTURA

di Antonio Pagliuca

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8 - La giornata in casa Kania


Alcune panche di legno formavano l'ossatura di un ombroso giardino circolare odoroso e variopinto; in quell'angolo di eden, i signori Kania trascorrevano con i familiari le ore della canicola.

Gli uomini leggevano, la signora Ayla cuciva o ricamava, i ragazzi giocavano: proprio come facevano in tutta l'Europa le famiglie borghesi.

Tanto Abdullah che Ismael a causa delle guerre e del commercio avevano avuto la possibilità di conoscere e di apprezzare più d'una nazione europea e si erano fatta una discreta cultura storico geografica attraverso la lettura; la loro bibliotechina era fornita anche di un buon numero di romanzi.

Il vecchio Abdullah era vissuto alcuni anni in Russia, commerciando in tappeti, ed aveva soggiornato a Vienna un paio d'anni per lo stesso motivo. Terminate le scuole, anche Ismael aveva seguito il padre per alcuni anni finché fu chiamato sotto le armi.

L'uno e l'altro avevano modificato in meglio gli antichi convincimenti; molti preconcetti, molti atteggiamenti e molti giudizi su diversi argomenti erano stati passati al vaglio della ragione, della cultura occidentale e, perché no?, dell'istinto che, spesso, risolve problemi apparentemente insolubili.

Padre e figlio avevano sposato ognuno una sola donna, anche se non potevano vantarsi di essere stati mariti fedeli!

Si erano dedicati al lavoro, alla famiglia e, all'occorrenza, al servizio del sultano, cercando di dare alla loro vita ed alle loro opere un valore ed un significato che si avvicinava molto più all'insegnamento del Vangelo che a quello del Corano.

Avevano dovuto convincersi che l'Islam è una religione che non lascia spazio al libero arbitrio, ma che regola la vita del maomettano in maniera totalitaria; è una religione che solletica la fantasia e rende privilegiati soltanto i maomettani e che non conosce -la divina bellezza della carità, cioè dell'amore puro.

Tutta la vita del fedele musulmano è regolata dai precetti del Corano e dalla tradizione, chiamata " sunna ".

Sono cinque i pilastri teologici su cui si fonda l'islamismo:

- il principio dell'unicità di Dio e della missione profetica di Maometto (sàhàda);

- la preghiera canonica, da farsi cinque volte al giorno (salat). Perché la preghiera sia valida, non bisogna sbagliare né le parole né i gesti che l'accompagnano, pena la nullità. Cuore e spirito possono anche non parteciparvi!

- l'elemosina legale dovuta su determinati cespiti da parte del musulmano abbiente (zakat);

- il digiuno nel mese di ramadàn (sawn). Il periodo del ramadàn è il periodo dello scambio dei doni e degli auguri. Negozi ed uffici sono aperti fin dopo la mezzanotte. Il digiuno deve essere rigoroso, dall'alba al tramonto: e rigorosa deve essere l'astensione dal fumo, dalle bevande, dai rapporti sessuali e dai profumi. Gli operai lavorano mezza giornata, ma ricevono la paga intera. Le trasgressioni al digiuno sono punite severamente con multe in danaro e con la pubblica fustigazione: i " mutawwif " sono vigili attenti incaricati di far rispettare scrupolosamente il precetto del digiuno.

- col pellegrinaggio alla Mecca, la città santa dei musulmani, si ottempera ài quinto comandamento della legge coranica (hagg). Hagg è anche il titolo che si attribuisce ad ogni musulmano che si sia recato, almeno una volta, in pellegrinaggio alla Mecca. Vi sono, perciò, hagg a Tunisi, a Dehli, a Londra, a Roma, a Mosca, in Cina e in tutto il mondo.

Il viaggio alla Mecca, che quasi sempre comprende anche la visita a Medina ed al Monte della Misericordia, nella pianura di Arafat, è un grosso affare commerciale per gli organizzatori del pellegrinaggio e per gli abitanti dei luoghi santi.

Per anni, i poveri cercano di raggranellare, soldino su soldino, la somma necessaria per il viaggio di andata e ritorno ai luoghi santi, ma .gli imprevisti, i ladrocini, gli stravizi, l'esosità dei profittatori, inducevano centinaia di infelici a vendere se stessi ed i propri familiari come schiavi per l'impossibilità di pagare i debiti contratti; questo guaio capitava spesso ai musulmani che abitavano lontano, in India, in Africa, nel Pakistan.

I signori Kania, e moltissimi altri in Turchia, aderendo alla esortazione di teologi morti e viventi, sollecitavano riforme religiose coraggiose, più aderenti alle esigenze spirituali dell'uomo e più cònsone alla realtà del mondo.

Durante le prime giornate di permanenza dei nostri schiavi nettunesi ad Antalya, padre e figlio discussero anche sul comportamento da tenere con loro e su quel che si dovesse fare per rendere migliore il futuro dei poveri infelici. Si decise che il comportamento da tenere con loro fosse quello che si tiene fra persone appartenenti alla stessa famiglia, anche se non si doveva largheggiare in liberalità quando si era fuori di casa.

Prima di tutto, si stabilì che Leonardo ed Assuntina frequentassero la moschea sia per imparare a leggere ed a scrivere, sia per istruirsi sul santo Corano; tale dovere incombeva anche a Teresa fino al momento di non aver più bisogno dell'interprete per capire e farsi capire.

Avevano deciso, inoltre, di non forzare mai la loro volontà e di rispettare le loro convinzioni religiose. Su tale argomento il comandante Ismael Kania intrattenne per un intero pomeriggio i nostri tre schiavi, servendosi di Ali Turi come interprete.

II nostro simpatico nostromo, le cui conoscenze religiose erano una sintesi confusa di dogmatica maomettana e di catechesi cristiana, si giovò della pacata discussione di quel pomeriggio per riordinare anche le proprie convinzioni religiose e per restituire a Maometto quel che apparteneva al Corano, ed a nostro Signor Gesù Cristo quel che apparteneva al Vangelo.

Poiché così era stabilito dalle leggi e dalle usanze, pur essendo cristiano, Leonardo avrebbe dovuto seguire anche le lezioni sul Corano, soprattutto perché si sarebbe giovato di dette lezioni per imparare prima e perfezionare poi la conoscenza del turco: da tutti Leonardo doveva essere ritenuto un fedele maomettano!

I nostri prigionieri erano autorizzati a recitare in casa tutte le preghiere cristiane che volessero, ma senza la partecipazione di estranei! I padroni di casa erano sì tolleranti, ma non fino al punto da essere considerati troppo permissivi e liberali. c}ai concittadini. Ai nostri fu espressamente proibito di farsi vedere quando sì facevano il segno di Croce.

A malincuore i nostri promisero al padrone di casa che si sarebbero attenuti scrupolosamente alle sue raccomandazioni ed alle sue proibizioni.

Con l'aiuto di Alì Turi e di Azim e con le lezioni frequentate nella moschea, Teresa e, soprattutto, Leonardo furono in grado, alla fine del primo mese di schiavitù ad Arrtalya, di esprimersi discretamente nella lingua dei padroni. Il contatto con Selma, con Belkis e con la padrona di casa, presso la quale le due bambine giocavano tutto il giorno, fecero sì che alla fine del primo mese di prigionia anche Assuntina fosse in grado di esprimersi in turco, ma più e meglio degli altri due italiani.

I ragazzi, che non conoscono remore alla spontaneità, fraternizzavano sempre più fra loro, incoraggiati anche dal sorriso o dal comportamento dei grandi: di quelli di parte cristiana e di quelli di parte musulmana.

Da quando erano arrivati gli schiavi cristiani, Belkis aveva superato se stessa in esuberanza ed in loquacità. Se con le parole non riusciva a farsi comprendere da Teresa, usava smorfie, gesti melodrammatici e finti strappi dei suoi folti e bianchi capelli. Almeno cento volte al giorno scomodava san Sidi Bugida, protettore delle donne da marito, che invocava non tanto perché le procurasse il terzo marito, quanto perché, da quando aveva tredici anni, e molto di più dopo le due vedovanze, era l'unico santo che conoscesse: non ne conosceva altri e non voleva offendere il Profeta con l'invocarlo solo quando era arrabbiata.

Faceva toccare e ripetere il nome degli oggetti di cucina e degli ingredienti delle varie pietanze fin quando la paziente Teresa non li avesse ripetuti alla perfezione e in modo ordinato.

A forza di dire e di fare - ma, più di fare che di dire -, Teresa era riuscita in un mese ad imparare il nome turco di piante, verdure, spezie, frutta, legumi freschi e secchi, dei vari oggetti di cucina, del vasellame e degli ingredienti per preparare colazione, pranzo e cena.

Oltre che il sis keban ed il dolma, di cui la famiglia Kania era stufa, Teresa aveva imparato a preparare alcuni piatti tipici:

- il pollo freddo in salsa di noci ed aglio (cerkez tavugu);
- il purea di verdure e di noci con yougurt ed aglio (tarator);
- la zuppa di carne e rosso d'uovo (dugun corbasi);
- l'agnello con purea di melanzane (hunkar begendi);
- l'agnello arrosto con riso (kuzu dolmasi);
- la sfoglia di grano al formaggio (sigara boregi);
- i peperoni imbottiti con riso, pinoli ed uva sultanina (liber dolmasi};
- la pasta sfoglia al pistacchio (biilbùl yuvasi).

La brava Teresa, per far contenta l'altrettanto brava Belkis, faceva finta di apprezzare come novità assolute alcuni " piatti " che aveva, invece, preparato cento volte a Nettuno, quali:

- il fegato fritto con cipolla (arnaut cigeri};
- l'insalata di fagioli (piyaz);
- la zuppa di lenticchie (mercimek corbasi) ;
- la bistecca (benfile);
- le costolette d'agnello (pirzold);
~ l'insalata di cetrioli, pomodori, peperoni e cipolla (coban salatast).

La famiglia- Kania, dopo pochi giorni, lodava già il caffè turco, il kahve, che Teresa ormai preparava per la fine dei pasti principali; la- stessa Teresa sbalordì Belkis e meritò le sincere lodi dei padroni per i tipici piatti all'italiana che preparava per i Kania nei giorni di festa e quando c'erano ospiti a pranzo od a cena. Lodi a non finire ricevette per le lasagne al forno, per gli gnocchi di patate, per l'insalata di pesce, per gli agnolotti, per le sfogliateli, per la zuppa di pesce, per la pizza napoletana e per decine di altri piatti, più o meno sofisticati, che aveva imparato a preparare come " aiutante di cucina " in casa dei signori di Nettuno.

Persino il vecchio Abdullah, così laconico nel lodare, non sapeva trattenersi dal lodare Teresa non solo a parole, ma anche con qualche amichevole manata sulla spalla, come aveva visto fare in Russia per esternare piacere e soddisfazione.

 



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