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NETTUNO

di DON VINCENZO CERRI

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LE "PRIORE"

 

Le suddette Confraternite ogni anno eleggevano il Priore, il Camerléngo (l'amministratore) e la Priora, la quale partecipava ufficialmente alla tradizionale processione di maggio, accompagnata dalle sue due "assistenti", indossando, per l'occasione, l'antico e meraviglioso costume nettunese con l'aggiunta del distintivo della pia associazione. Quest'uso vige tuttora e costituisce uno dei gruppi folkloristici più ammirati della festa patronale.

Il Gregorovius (6) così parla di questo splendido costume che ha potuto ammirare durante un suo breve soggiorno a Nettuno:

"Una quiete profonda avvolge l'antica città di Nettuno, che sembra dormire sotto la protezione delle sue antiche torri e delle sue alte mura lesionate. Nessun pescatore, nessun marinaio viene a turbare la sua riva tranquilla, perché non vi è porto e tutta la popolazione si da alla pastorizia. Sulla piazza di Nettuno sorge un'antica colonna solitaria, emblema dei Colonna, antichi Feudatari e Signori del Paese. Le strade sono profumate da garofani che ornano quasi tutte le finestre e che, agitati dal vento, dondolano le loro corolle porporine. Fiori cosi belli preannunziano donne più belle ancora: in realtà, in questi garofani che ornano le strade si può vedere l'emblema nazionale delle graziose nettunesi, perché il loro costume di festa ne ripete il colore ardente e fiammeggiante.
Bisogna vedere le donne di Nettuno in giorno di festa, per formarsi un'idea precisa della ricchezza e dell'eleganza del loro costume. In tempi ordinari, non si può giudicare della moda locale che per qualche leggero dettaglio, come per esempio nella maniera di pettinarsi: i capelli divisi in due bande sono riuniti curiosamente sulla nuca e annodati con un nastro verde per le ragazze, rosso per le maritate e nero per le vedove. lo ho assistito alle feste di S. Giovanni e di S. Luigi. Alla prima ho visto una processione con la musica svolgersi nelle strade; la Croce era coperta di fiori e le braccia dei partecipanti ne erano cariche; era uno spettacolo sorprendente incontrare in queste straducce strette e oscure visi cosi puri e abiti così ricchi. Ecco in che consiste il costume delle donne di Nettuno: portano sulla testa una specie di fazzoletto ricamato di oro e di argento che sporge sulla loro fronte; la loro persona snella e attillata in un giacchetto di velluto o di seta rosso scuro con ricami metallici e in un busto di broccato egualmente ornato alle maniche e sul petto. Anelli, orecchini, collane, braccialetti d'oro e di corallo, scintillano su questo sfondo splendido. Sembra che la ricchezza di questi dintorni nobilizzi ancora il portamento delle Nettunesi: di fatti, io le ho viste passeggiare sulla piazza della cittadina (in rovina) con l'andatura maestosa di una grande dama romana e non delle meno belle; alcune avevano il profilo greco di grande purezza, e tutte possedevano una capigliatura d'ala di corvo, e grandi occhi malinconici, fatti per domare i cuori più duri.
Quando le bombe e i petardi sono scoppiati, dopo la processione, avvolgendo di un turbine di fumo tutte queste superbe creature vestite di porpora e di oro, ho creduto di trovarmi in un olimpo popolato da divinità ideali".

Il P. Lombardi (7) dà maggiori chiarimenti sull'antico abito delle nettunesi:
"Questo popolo non manca di spirito e di talento, ed attende alla coltivazione del suo territorio, donde ritrae olio, vino, grano, legumi, erbaggi, frutta ed altri generi mangiatizi, quanto basta per la sua provvista, e per quella di Anzio ancora. La pesca è cosa affatto ignota a questi abitanti. Le donne sono per la maggior parte di bella carnagione, ed ottimo colorito. Il loro vestiario è di un genere affatto singolare, splendido, e per ricchezza dì stoffe, e di ornamenti tessuti in oro, ed argento, tanto che l'Abb. Piazza nella sua "Gerarchia" ebbe a dire, che le donne di Nettuno usavano ornamenti propri degli imperatori, de' Papi de' Vescovi. È però assai dispendioso, sebbene duri secoli, e secoli tramandandosi di madre in figlia per generazioni. Eccone la descrizione. Sopra una camicia aperta dal collo fino al petto, senza busto di sorta alcuna, indossano una veste di finissimo scarlatto (8). Senza maniche, tutta intera dalle spalle ai piedi, la quale nella parte superiore essendo tagliata alla vita, se l'adattano sopra i fianchi, restando però aperta nel petto, e facendo bella mostra perché ricade nella parte inferiore con isfarzo, e ricchezza di pieghe. Su questa veste usano un corpetto, o corto camiciolino con maniche della stessa robba, e colore, aperto egualmente nel petto; quale secondo la possibilità sogliono ben guarnire nelle estremità di gallone di oro, e di argento. Chiudono poi il petto con altro pezzo di drappo cotanto ricco di ricami di oro, di argento, e seta a più colori, intrecciando i capegli con un largo nastro di seta rossa, che poi scende loro da ambedue le parti. Canzano ai piedi una specie di pianelle ricoperte di panno rosso; e di pelli inargentate ad uso di sandali Pontificali. Prima di Gregorio XIII la veste giungeva loro appena sino ai "ginocchi, vestendo le gambe di graziosi stivaletti alla moresca, e ornando di turbante turco la testa, come si apprende dal Tassoni, che cantò nel suo poema eroicomico della Secchia Rapita, Canto X, st, 24.
Le donne di Nettuno vedo sul lido
In gonna rossa, e col turbante in testa.
Però per provvedere alla decenza quel Pontefice nel 1572 promise premi a chi allungava la veste fino al collo del piede, e pene al contrario a chi non obbedisse, e durò fatica a riuscirvi, sebbene a dire del prefato Piazza ne facesse supplire la spesa all'Erario Apostolico. Il turbante durò fino ai primi del secolo decorso, in che fu cangiato coll'attuale tovagliolo".
Calcedonio Soffredini informa che gli uomini "ancor essi avevano un vestiario lor proprio, leggendosi in un inventario di masserizie unito ad un processo criminale del 1568 che usavano il berretto e calzoni rossi, le calze gialle o paonazze".

Circa l'origine dell'antico abito delle donne nettunesi, il Matteucci (9) così si esprime in modo colorito:
"Esaminando bene il vestir antico loro, era un misto di vetusto e sodo romano indumento, unito a lusso orientale, in poco dissimile dall'antiche trasteverine, sonninesi ecc. Di ogni stato ne ha significante distintivo: la derelitta Vedovella in nero amaro lutto: la zitellina in rossa veste, corpettin verde, intreccio di chioma in nastro pur verde, un misto di amore insomma, e di speranze: la Maritata poi, e corpetto, e veste, e nastro in pieno rosso; Ardore tutto in coniugal amore. È un vestir piacevole tanto, e raro sì, che con quel viso aperto e reale, in bel colorito, brunetto anzi che no, in severo sossieguo e verecondia, di cui fan vanto, avara in bello, o facile natura "Ad ogni cittadin sempre è gradito: ed occhio peregrin resta rapito". Ricco invero, e durevol indumento da Madre a nipote: mà di cui in oggi fan le schifiltose alcune nuove figlie, per seguir estere mode, di strascichi, e palloni, cappellin a Cavù, ossia a Cuccù, e code, e bòtti, e nastri, e stracci; in perenne di Casa serio danno, con matto piacer de' mercantelli; ignorandosi perfin a prima vista, se figlie sien d'Adamo, o pulcinelli".

A. Ademollo (10) fa notare che il ben noto storiografo di cose ecclesiastiche Bartolomeo Piazza (Gerarchia Cardinalizia - Roma 1703) che vide a Roma la gente di Nettuno nelle processioni degli Anni Santi 1675-1700 nulla trovò di saraceno nei loro abbigliamenti, "ma soltanto le "antiche usanze dei popoli latini".

E riporta testualmente:
"Osservassimo di curioso delle antiche costumanze delle quali sono costantemente osservanti e gelosi questi popoli (nettunesi) nell'Anno Santo scorso 1675 celebrato da Clemente X e del 1700 della Santa Memoria di Innocenze XII; l'abito degli uomini, ma più delle donne nelle religiose e divote processioni, che per venerare le Sante Basiliche di Roma usavano; nelle quali in un abito graziosamente modesto e giudiziosamente umile, e vagamente sincero, miravansi le antiche usanze dei popoli latini conservate con più studio di verun altro castello del Lazio da queste Nettunesi...".

È interessante notare a questo punto anche quanto dice Virgilio (11) riguardo al vestiario dei popoli Volsci. Indossavano vesti preziose, di porpora, ricamate o dipinte, ornate di oro, gemme, armille, orecchini, anelli, collane ecc.
Edoardo De Fonseca (12) parlando dell'antico costume delle donne nettunesi si augura "che sopravviva, in quanto che nessun altro costume della provincia romana lo uguagliò mai per artistica bellezza".



(6) Roma e i suoi dintorni - Ediz. francese, pag. 168.

(7) Anzio Antico e Moderno, pag. 424.

(8) Era detta "guarnaccia".

(9) G. Matteucci, op. cit. pag. 54.

(10) A. Ademollo: Anzio e Nettuno dal sec. XVI al XVIII - Roma, Libr. Manzoni, 1886.

(11) Virgilio, Aen. X.

(12) Edoardo De Fonseca: I Castelli Romani; Tivoli, Anzio, Nettuno (appendice).

 

 

 

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