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LAMBERTO CIAVATTA

 

a cura di

VINICIO SAVIANTONI

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CIAVATTA TRA CRONACA E STORIA

La cronaca e i mass-media sembrano, questa volta, aver suggestionato la perenne musa di Ciavatta.'"incidente", l'urto, lo scontro e la frantumazione, l'olocausto di sangue casuale e inconcludente, paiono i nuovi elementi su cui l'artista ha imperniato una lunga serie di lavori recentissimi. Ma perché questa assunzione di temi? Perché questo tipo di cronaca "; perché, inoltre, un " realismo " così crudele?
Innanzitutto, per chiarire subito il reale valore delle attuali fatiche ciavattiane, diciamo che la " cronaca " e il " reale ", sono, come sempre, nell'artista motivi occasionali che la sua inquieta personalità trasforma in miti, fantasie, " poesia " dell'età contemporanea.
E passiamo alla analisi delle origini di questa nuova esperienza.
Giova ribadire il concetto fondamentale che anima l'arte di Ciavatta, ricordare i suoi principali attributi: cioè il concetto moralistico e la qualità espressionistica delle sue opere.
Dai primi dipinti (escluso il periodo di formazione di natura impressionistica) l'inquietudine ciavattiana s'è sempre espressa istintivamente con grosse pennellate su grossi volumi talari. Senza trovare " formule " che s'adattassero ad esprimere in aeternum la propria posizione, Ciavatta ha affrontato il problema più arduo che l'artista contemporaneo si ponga: quello di esprimere se stesso attraverso una linguistica intrinseca alle proprie necessità passionali e culturali; quindi non una assunzione di magici segni che incrostano i concetti extraverbali dell'opera ma un discorso continuo, una ipotesi in fieri di forme e di esperienze solo apparentemente diverse. In realtà certi " contenuti " che l'arte di Ciavatta è andata sempre cercando [e in appresso vedremo dove questi " contenuti " sono stati espressi, e " come ") hanno invece ribadito il principio che l'arie debba esprimere, significare ed educare, tenendo saldo, nel contempo, la potenzialità creativa del linguaggio, l'aggancio con le necessità più profonde dell'espressione moderna, onde la " struttura " intima del linguaggio ciavattiano (dalla pittura tonale all'informalismo, dal materico " duco " a! materico " coke ", dai graffiti ai vetri urtati) appare sempre conseguente a se stessa, nata da una necessità e nor da una " trovata ", omogenea e magistralmente agganciata nei suoi vari momenti.
Il gesto e la materia sono, l'uno il medium soggettivo, l'altro quello oggettivo, che, conforme al proprio temperamento, l'artista ha assunti Dell'esprimere e Dell'organizzare il proprio lavoro. Il colore spesso, il duco stratificato, il materico " coke ", il cristallo infranto e risaldato sono sempre elementi " materici " ricorrenti nella sua azione pittorica. Sono i media a lui più congeniali perché Ciavatta ama la materia (come il vero scultore la pietra o i metalli) sulla quale poter incidere, con violenza, la violenza delle proprie urgenze sentimentali. Ma, a differenza degli altri operatori, più che costruire l'immagine tessendo mano mano le singole cellule parcellari o lasciando alla materia in sé, il compito di esprimere la propria inerziale " bellezza " egli ha sempre cercato di dominare e dirigere la materia. Anche perché, irrimediabilmente, il suo istinto era quello di voler far apparire dalla massa informe il concetto della mente; la figura e il fato che denunciano la reale presenza delle " cose " per la soddisfazione dell'intelligenza e per la compartecipazione e il giudizio dei " lettori ".
Nel fare questo egli ha sempre rifiutato l'accademia. " Ha continuato la sua strada in una ricerca personale, non solamente estetica ma anche morale, nei rapporti uomo-natura, individuo società. La sua avanguardia ha operato in queste dimensioni di cultura e di impegno; poi l'artista si è a un tratto chiuso in se stesso per ascoltare soltanto le proprie voci dì dentro..." (V. S., " L. Ciavatta", sulla Fiera Letteraria, Roma, 1962). Perciò in lui il gesto non è gestualità nel senso accademico e ortodosso che alla parola si deve dare e la " materia " non ha fatto di lui un materiologo. La critica moderna è certamente più interessata all'" apparei! " del processo creativo che all'" objet -> [in senso finalistico) di essa; e si deve riconoscere, in questo, un desiderio di analisi, di tecnica, di calcolo della verità per un contributo, anche se modesto, alle necessità obiettive dell'arte, o meglio, costruttive e " formative " di essa. Ma chi dice che non esista un processo, un'analisi, una logica, anche in quello che, alla prima analisi, può apparire irrazionale e che (poi) conserva intatti i suoi valori, mostrandosi logico, razionale e tecnicamente evoluto? Per Lamberto Ciavatta la posizione dell'artista non è nel problema della verifica formale ma nel suo istinto maturato da esperienza e riflessione; non va da quella a questa ma da questo a quella. Onde, la "sperimentazione" più coraggiosa è sempre nel valore che dentro anima il quadro, nella finalità del processo. E questo è quello che l'artista ha anche fatto recentemente, operando con la nuova tecnica dell'immagine costruita su un sottofondo telare ma intecata dalla copertura del cristallo e improvvisamente " alterata " dalla sua rottura.
Sin dai primi lavori, dunque, Ciavatta ha sentito l'urgenza dell'espressione che coinvolgesse l'interesse del pubblico; ma (e su questo punto bisognerebbe soffermarsi) da una parte la necessità di esprimere cose reali, compatibili con le necessità sociali dell'uomo, non l'hanno del tutto attanagliato (e potrebbero, se intese concettualmente, coinvolgerlo in un'analisi limitativa; da un'altra parte le necessità della " forma " [se intesa come abbellimento) ne potrebbero limitare il valore. E questo, a mio avviso, non è credibile.
Ciavatta è, per temperamento, un lirico. L'espressionismo, in lui, non tende tanto a certe finalità (sociali e politiche) quanto all'uso di un mezzo per esternare meglio un contenuto drammatico e passionale. In questa " dimostrazione " talvolta cade nel concetto generico (figure a sé, sbalestrate nella propria dimensione esistenziale), oppure nell'ornato coloristico, nel ricavo melodrammatico del segno (figurale e tonale). Ma (e questo è quello che tutto riscatta, giustificando ogni prova) di ogni periodo ciavattiano ci sono capolavori autentici dove la funzione (sociale, politica, umana) si connatura alle invenzioni formali, alle perfezioni linguistiche, e l'opera esula da ogni classificazione perché perdendo contatti con ogni misura accademica diviene solo vibrazione lirica, autentica poesia.
Nella summa delle poesie di Dannunzio (per fare un esempio) tra le sparse vastigia di una ispirazione meno addensata fanno spicco le meravigliose poesie delI'Alcyone che assorbono tutte le altre e le giustificano appunto come premesse e necessità di quelle. Ciavatta ha dunque un concetto dell'arte drammatico e lirico nel medesimo, onde il suo stile vuole essere creazione globale più che analisi del particolare. Egli fa derivare la sua arte dai procedimenti interiori dell'animo. " Perché questa è la caratteristica dell'arte: di parlare coi mezzi dell'anima alla mente stessa dell'uomo; di derivare concetti, anche nuovi, dalle provocazioni dei sentimenti " (V. S. ne " I coke-materici di L. Ciavatta ", Ediz. C.ET.I., Roma, 1964).
Tutto quello che abbiamo detto è riferibile, per sottinteso, alla sua at-tualissima produzione: quella del cristallo infranto. L'" incidente ", fatto usuale della cronaca e pane del nostro vivere quotidiano, l'urto frontale tra i mezzi meccanici che la civiltà attuale consacra alle necessità funzionali dell'uomo (e al suo arbitrio], lo scoppio dei vetri lacerati in questa inarrestabile follia del vivere, hanno creato la situazione contingente, maturato la condizione attraverso la quale l'artista ha sollecitato le sue capacità di emozione. Però, anche se il momento iniziale è una sensazione fisiologica, il successivo stadio di ripensamento sollecita altre componenti (etiche ed estetiche), facendo del purovisibilismo un'astrazione e del <oo fatto " non una illustrazione ma una ipotesi di lavoro. In Ciavatta perciò l'adeguamento degli strumenti alle necessità significative non vuoi dire filmare ia " res " ma adeguarla alle necessità interpretative, spiegarsene il perché, fare del nucleo emozionale un elaborato di sufficiente rigore dove il " poi " non scarti l'"ubi " ed il " curri " (anzi lo conservi invetrato, incristallizzato, memorizzato) e tutta la prassi di una situazione limitata e provvisoria (l'" incidente ") risulti nella sua elaborazione semantica, la determinazione di una situazione ben più complessa: l'indice e lo sviluppo stesso della civiltà, e dell'uomo che ad essa contribuisce e s'adegua pagando, gloriandosi, soffrendo, rammaricandosi. Malgrado questa specie di seconda natura del quadro ciavat-tiano mai come in questo caso l'artista è però tanto a contatto del vero, de] reale. Eppure la partecipazione emotiva e la penetrazione formale (espressionismo e colori violenti, sanguigni; umori densi e disseccati come lacerti di vene umane; volti disfatti e rabbrividiti) mai come adesso, per le necessità dell'informarsi e dell'informare, avevano creato i presupposti di un'arte anche oggettiva. Tanto è vero che il lavoro dell'artista ha preso, più recentemente, diversi avii, e l'esperienza formale è servita ad elaborare nuovi criteri di lavoro sia che egli li formuli in una precisa di-rezione per definire progetti esecutivi [la " tecnica " potrebbe servire all'artista per mettere a punto un nuovo sistema di costruire " vetrate " dipingendo il vetro tradizionalmente ma facendovi sopra scorrere l'infinita gamma delle " figure ", che la luce, attraverso le rotture e i " segni " del cristallo infranto sovrapponentesi, potrebbe costruirvi) sia che egli se ne serva per elaborare nuove dialettiche di segno-(figura)-astrazione.
Lo stato di tensione che angoscia l'uomo moderno non poteva meglio esser rappresentato che da questi " doppi ". Il dualismo fra temperamento dell'uomo contemporaneo (dinamismo, mass media, edonismo) e rottura della durata di un tale stato di benessere (guerre, egoismo, il tragico quotidiano) o perciò rappresentato da questa coordinazione di elementi disparati: tela e cristallo; figura e illusione; segno e luce; tonalismo e acromatismo. Nel fondo del dipinto l'inerzialità di un <>. fatto " già accaduto; una realtà tragica, conseguenza casuale ma prevedibile di una opzione e di una volizione di civiltà; copra, il gioco dell'illusione dinamica (gli spacchi del vetro possono esser fatti oscillare sul dipinto come ombre mosse da una sorgente di luce oscillante); cioè le cento e cento possibilità di movimento della fantasia. Facendo vibrare i " segni " della luce [sul dipinto) non ogni possibile deviazione della sorgente luminosa, l'insieme non perde i suoi valori simbolici ma s'inserisce tout-court nel gusto attuale, realizza una percentuale importante di solleciti avanguardistici come quelli dell'arte otticale e informalista. Anzi ne inventa di nuovi; ne propone di inusitati senza scadere nella vuotaggine della ricerca fine a se stessa, perché, appunto, serve ad utilizzare un'intuizione e ad attualizzare il processo di inveramento dell'arte; la invita alla riconquista della sua dimensione possibile.
A mio giudizio sia sul piano della " materia " (colore o collage; cristallo e resina) che su quello dei " contenuti " (della materia costruita per significare), si realizza compiutamente l'espressione. Anche il contrasto fra elemento non colorato (vetro) e colori (dipinti su tela), trova nella coordinazione ciavattiana spontanea risoluzione. L'artista è riuscito a realizzare quadri di grande effetto drammatico (contenutismo) e di grande efficacia coloristica (formalismo). Potrebbe anche, adesso, "dipingere " senza colorare; senza segni e figure; mettere vetro su bianco (della tela) e, martellando (come già fa) il cristallo per rabbia, aspettare l'evento; far giocare liberamente !e immagini (le ombre) del vetro rotto sulla superficie sottostante; conseguenza formale di un atto di contestazione dell'artista, non dell'umanità contemporanea ma del suo " modo di vivere " e del suo modo erroneo di pensare, preludio, forse, di un altro tragico errore, globale o finale, ancora da venire; di un altro dramma più distruttivo e più totale. Eppure Ciavatta mette, ancora tutto in forse: la salvezza e la caduta dell'umanità; da una parte la possibilità di una tragedia finale (sin dalle prime esperienze, Ciavatta intitolava le sue mostre: " salviamo l'umanità ", " catastrofe atomica ", ecc., e sempre ha avuto in mente di combattere il sopruso e la malvagità di un mondo, la cui unica strada tracciata sembra appunto quella della distruzione totale); da un'altra una possibilità di salvezza che nasce dalla costante presenza dell'uomo e che è evidente nell'animo dì pochi uomini di buona volontà e rintracciabile nell'opera dell'artista attraverso la dolcezza dei paesaggi e il dolce incanto dei colori. In definitiva si potrebbe anche credere che Ciavatta creda più alla fine dell'umanità che alla morte dell'arte; alla distruzione delle " sovrastrutture " della civiltà che a quella dei sentimenti. Per eccesso di temperamento Ciavatta ha forse insistito con troppo accanimento sulle proprie posizioni, ma questo stato di tensione matura, in contrapposte cadenze, l'unità morfologica e morale di un artista vivo nell'epoca attuale e candidato a restare tale anche in quelle future.

Vinicio Saviantoni




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